Paolo Ondarza – Città del Vaticano
Dopo cinque anni si rialza il sipario sull’Apollo del Belvedere. Sono stati finalmente rimossi dal Cortile Ottagono i pannelli del cantiere di restauro che, prolungato dalla pausa forzata imposta dalla pandemia, oscuravano la bellezza senza tempo di una delle sculture simbolo dei Musei Vaticani.
Tra tecnologia e filologia
Al di là di un telo nella suggestiva cerimonia organizzata per la stampa, è tornato a mostrarsi il capolavoro, scoperto tra le rovine di una domus sul colle romano del Viminale nel 1489, probabilmente nell’orto delle monache di San Lorenzo in Panisperna sul Viminale, e poi collocato in Vaticano da Papa Giulio II tra le statue che dovevano celebrare la continuità tra la Roma antica e il suo pontificato.
Il monumento è stato oggetto di un delicato e attento restauro, frutto di un sapiente equilibrio tra tecnologia e filologia. Un’operazione che esprime ciò che vorremmo fossero i Musei Vaticani oggi”, ha detto il Direttore Barbara Jatta: “sintesi di tradizione e innovazione con uno sguardo sempre aperto alle nuove tecnologie”.
Il movimento della statua
“La Vigilia di Natale del 2019”, ricorda ai media vaticani Claudia Valeri, curatrice del Reparto di Antichità Greche e Romane delle Collezioni Pontificie, “il Gabinetto di Ricerche Scientifiche al termine di un monitoraggio rilevò un impercettibile movimento della scultura. Questo ci ha messo subito in allarme. Siamo dovuti subito intervenire: la statua è stata messa in sicurezza con un sistema d’emergenza e purtroppo chiusa al pubblico. Bisognava capire perché si stesse, sebbene impercettibilmente muovendo e individuare una strategia che fosse la meno invasiva possibile e potesse sostanzialmente ristabilire un fermo equilibrio”.
Un “paziente” speciale
Il capolavoro che a partire dalla sua scoperta in epoca rinascimentale e particolarmente dopo la nascita del Museo Pio Clementino, nel XVIII, secolo era divenuto il “motore immobile”, ispiratore di tanta produzione artistica, ha osservato da parte sua il vice direttore artistico-scientifico dei Musei Vaticani Giandomenico Spinola, “si era purtroppo mosso” ed era urgente intervenire “come fa un medico con un paziente”.
Occorreva assicurare lunga vita a quello che da secoli è considerato esempio di perfezione, continuare cioè a far risplendere quell’“eterna primavera” che rapì l’animo di Johann Joachim Winckelmann nel contemplare la seducente virilità e la dolce giovinezza della divinità scolpita nel marmo.
La cura di un capolavoro
Le fratture e le criticità, soprattutto nella zona delle caviglie e delle ginocchia, richiedevano un intervento risolutivo. A gravare sullo stato di salute della scultura sono state sicuramente l’esposizione all’aperto, ininterrotta fin dal suo rinvenimento, ma anche le manomissioni e movimentazioni non indolori cui è stata sottoposta: prima fra tutte la depredazione napoleonica, ma anche la più recente trasferta, negli anni Ottanta del secolo scorso, in occasione delle mostre negli Stati Uniti.
La soluzione di Canova
Il complesso progetto di studio, reso possibile grazie al generoso sostegno dei Patrons of the Art in the Vatican Museums, ha consentito di individuare le più opportune metodologie di intervento: “Abbiamo vagliato varie possibilità e alla fine ci siamo convinti che bisognava tornare ad un escamotage che era stato già perseguito in passato”, aggiunge Claudia Valeri. La fragilità dell’Apollo ha infatti imposto, tra circa 15 soluzione prese in esame, la scelta adottata da Antonio Canova di riproporre un sostegno, “utilizzando fori e incassi già presenti sul marmo”. Si è trattato di “un lavoro manuale, ma al contempo intellettuale” spiega il responsabile del Laboratorio di Restauro Materiali Lapidei dei Musei Vaticani, Guy Devreux. “Abbiamo interpellato ingegneri e tecnici e tra le varie proposte abbiamo scelto quella di un’asta, curva ellittica fatta di fibra di carbonio e acciaio, che avesse un ruolo di sostegno della scultura, ma non abbiamo praticamente toccato l’opera”.
Tecnologia e materiali all’avanguardia
La barra leggermente arcuata, fissata al basamento e ancorata al dorso della statua, riesce ad alleggerire l’Apollo Belvedere del peso di circa 150 chilogrammi senza comprometterne la godibilità estetica. “È stata una decisione importante”, confida ancora Claudia Valeri: “Avevamo la consapevolezza che esteticamente la statua sarebbe un po’ cambiata, ma l’intervento ha assicurato la conservazione anche per gli anni futuri”.
Grazie al tiraggio effettuato dalla barra inoltre è stato attenuato lo sbilanciamento del baricentro della scultura appesantito dal mantello. Va ricordato infatti che la scenografica postura da arciere dell’Apollo Belvedere, ardita per un’opera in marmo, fu ideata per un’opera plastica in bronzo.
La statua vaticana è infatti copia romana dell’originale opera del 330 a.C. attribuita all’ateniese Leochares. L’artista sfruttando la leggerezza del bronzo ideò la posa della divinità ritratta nell’istante immediatamente successivo ad aver scoccato una freccia.
La mano di Baia
“Un dardo lanciato al giudizio della comunità scientifica” è definito metaforicamente da Claudia Valeri l’esperimento filologico, “del tutto reversibile”, che ha restituito alla statua la mano “originale” ricavata dal calco in gesso rinvenuto negli anni Cinquanta del secolo scorso tra le rovine del palazzo imperiale di Baia, a nord di Napoli.
“Nel corso del restauro – spiega la curatrice – ci siamo resi conto che, come già altri in passato avevano notato, la mano ricostruita nel Cinquecento da Giovannangelo Montorsoli era piuttosto grande, con una posizione non proprio corretta per un arciere. Soprattutto abbiamo avuto la possibilità di provare sull’Apollo del Belvedere il calco della mano di Baia. Il gesto è diventato più naturale, la mano proporzionata e leggera”.
In fase di pulitura il modellato dell’Apollo ha acquisito nuova morbidezza e tra i riccioli è riemersa la policromia violacea che tradisce la preparazione per la doratura delle chiome. Un aspetto quest’ultimo messo in luce nel suo intervento da Fabio Morresi, responsabile del Gabinetto Ricerche Scientifiche dei Musei Vaticani che dopo un vero e proprio intervento di “pronto soccorso” messo in moto cinque anni fa, continua a monitorare l’opera da un punto di vista strutturale e chimico.
E per il futuro non si escludono ulteriori provvedimenti per garantire lunga vita a questo capolavoro. Tra le varie proposte anche quella di una eventuale copertura del Cortile Ottagono che limiterebbe i danni causati da agenti atmosferici alle statue: “Avremmo la garanzia di una tenuta migliore del nostro restauro. Ci sono varie idee, ma nessun progetto concreto: la possibilità esiste, è fattibile ed è necessario”, afferma Giandomenico Spinola.
Un capolavoro restituito
Quello oggi presentato al pubblico è un lavoro di squadra condotto nel corso di un quinquennio, non immune da momenti drammatici. Per i Musei Vaticani restituire questo capolavoro al pubblico è motivo di grande soddisfazione: “Durante questi anni – conclude la curatrice del Reparto di Antichità Greche e Romane – ci siamo dovuti fermare per diversi mesi nel tempo sospeso della pandemia. Oggi i sentimenti sono sicuramente di felicità”. “È una giornata di gioia – afferma da parte sua Barbara Jatta – perchè dopo tanti anni torna alla visione del nostro pubblico un’icona della bellezza classica che ha ispirato generazione di artisti, letterati e poeti. La preservazione per la condivisione è la cifra della nostra istituzione”.