@Paolo Ondarza, Radio Vaticana
Ricorre oggi la memoria liturgica del Beato Angelico. Il vescovo Mauro Piacenza, presidente della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa presiederà nel pomeriggio una celebrazione eucaristica nella Basilica romana di santa Maria sopra Minerva sulla tomba dell’artista quattrocentesco. A promuovere il rito è l’Unione Cattolica Artisti Italiani. Ricordiamo che il Beato Angelico è stato proclamato nel 1984 da Giovanni Paolo II protettore degli artisti cattolici. Sulla figura di questo Maestro dell’arte italiana sentiamo il servizio di Paolo Ondarza.
Guido di Pietro nasce a Vicchio del Mugello in Toscana nel 1387. A 38 anni entra nel convento dei domenicani a Fiesole, con il nome di fra Giovanni. Dimostra da subito una propensione per l’arte realizzando miniature per messali e testi religiosi. Il titolo di Angelico gli viene attribuito per la prima volta nel Theotocon di fra Domenico da Corellain relazione alla sua pittura: le varie Annunciazioni vibranti di un’illuminazione diafana e gli affreschi per il convento di san Marco a Firenze: vere e proprie catechesi per immagini a grandezza naturale distribuite nelle 20 celle dei frati, nel chiostro e nella casa del capitolo.
Il linguaggio è severo, altamente spirituale. In Vaticano l’Angelico dipinge gli affreschi per la Cappella del Sacramento commissionati da Eugenio IV e quelli della Cappella Niccolina con scene della vita dei santi Stefano e Lorenzo. Nel ‘500 Vasari lo ricorda come uomo religioso di vita esemplare. La critica successiva lo definisce poi l’ultimo pittore mistico “più del cielo che della terra”. Beato lo definiscono già i suoi contemporanei, ma a conferirgli il titolo provvede il 3 ottobre 1982 Giovanni Paolo II che due anni dopo, lo nomina protettore degli artisti cattolici. Mons. Mauro Piacenza, presidente della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa:
R. – Sembra quasi lui avesse conversato con i santi del cielo, perché le sue pitture esprimono la profonda comunione spirituale che lui ha avuto con le realtà celesti: la sua pittura è testimonianza ed è preghiera.
D. – “La Bellezza salverà il mondo” scriveva Dostojevski. L’arte sacra oggi, nel XXI secolo, quali sfide deve affrontare?
R. – Sono le sfide culturali generali. C’è un relativismo, un esasperato soggettivismo a livello dottrinale qua e là. Il Santo Padre si è riferito spesso a questi aspetti. Quello di cui c’è bisogno nell’arte sacra è di ridare una certa oggettività del vero, che viene narrato attraverso la pietra, la pittura, e quella universalità per cui tutti, un bambino come un dotto, devono poter percepire nel vedere la Chiesa, nell’entrare in Chiesa, nell’essere posti davanti ad un’immagine sacra: il senso del divino e il senso di ciò che questo vuole dire. Se io vedo un volto di Cristo, io devo sentire entrando, quel “Venite a me voi tutti che siete affaticati e stanchi io vi ristorerò”.
R. – La Chiesa ha sempre incoraggiato l’arte come strumento di manifestazione della bellezza di Dio. Oggi quest’attenzione da parte della Chiesa è ancora viva?
D. – Sì. Forse per un periodo di tempo prolungato non siamo sempre stati troppo attenti alle committenze a persone che condividano la comprensione della fede. Se una persona deve progettare una Chiesa e non ha il senso dell’ecclesiologia cattolica, penserà immediatamente di fare un’aula di riunione, e infatti lo vediamo. Se uno non ha il senso di che cosa sia una croce, è chiaro che cercherà di nasconderla, perché penserà sia un elemento di divisione, invece che di unione.