Verità e Bellezza. La via pulchritudinis di Biagio Biagetti

Biagio Biagetti Ondarza libro Aracne

Da Radici Cristiane

“L’arte parla sempre, almeno implicitamente, del divino. Le immagini sacre, con la loro bellezza, sono anch’esse annuncio evangelico ed esprimono lo splendore della verità cattolica, mostrando la suprema armonia tra il buono e il bello, tra la via veritatis e la via pulchritudinis”. Si esprimeva così Benedetto XVI presentando nel 2005 il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica.

La via della Bellezza nel pensiero dei Papi

Il Papa emerito si è posto così in continuità di pensiero con san Giovanni Paolo II che nella lettera agli artisti del 1989 spiegava: “Per trasmettere il messaggio affidatole da Cristo, la Chiesa ha bisogno dell’arte”. Sulla stessa linea anche Papa Francesco che nell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium ha scritto: “Tutte le espressioni di autentica bellezza sono un sentiero che aiuta ad incontrare il Signore Gesù e il linguaggio parabolico, proprio dell’arte, ben si presta a coadiuvare l’opera evangelizzatrice della Chiesa”.

Arte, ancella della liturgia

Il paradigma dell’arte, ancella della liturgia, ribadito dai tre ultimi pontefici fu caposaldo della concezione artistica di Biagio Biagetti pittore d’arte sacra della prima metà del Novecento, nato a Porto Recanati nel 1877 e morto a Roma nel 1948, esperto critico e teorico d’arte, eminente personalità in Vaticano, convinto sostenitore dell’inscindibile legame tra Bellezza e Verità, entrambi attributi divini. (Per approfondire Biagio Biagetti: QUI) Profondo conoscitore della tradizione iconografica italiana, appresa sui libri o sui ponteggi in qualità di restauratore a diretto contatto con i Maestri del passato, Biagetti fu cattolico impegnato e scrupoloso conoscitore dei testi sacri. Riduttivo definirlo solo pittore.

Religioso, nell’arte e nella vita

Fu sempre “pittore religioso” anche quando non si dedicò a tematiche sacre: fin da giovane infatti concepì la propria propensione al bello come dono elargito dal Creatore: il talento della parabola evangelica, ricevuto per “portare frutto”. E come un artista può portare frutto? Come può contribuire all’edificazione del Regno di Dio in terra? Biagetti ne era convinto: comunicando, attraverso matita o pennello, Cristo, Dio, la fede, la Chiesa. Egli dunque avvertì questa spinta come missione, vocazione, dal momento che nulla come l’immagine può parlare al cuore di ogni uomo, colto o illetterato; la preghiera accompagnava, illuminava e orientava le felici intuizioni del suo genio creativo.

Arte come apostolato

Tale accezione apostolica del “fare artistico” era in stridente contrasto con la concezione estetica a lui contemporanea, dominata dalle avanguardie storiche, per definizione in rotta di collisione con il passato. Eredi del lascito del futurismo, cubismo, astrattismo, dadaismo, surrealismo, informale, anche oggi abbiamo spesso l’idea, rafforzata da tanta letteratura critica del Novecento, che un artista per essere tale debba essere in contrasto con la tradizione e con le epoche che lo hanno preceduto o condurre una vita dissoluta, “spericolata”. Biagio Biagetti – e con lui un folto gruppo di pittori d’arte sacra caduti nell’oblio per una grave e ideologica omissione della critica contemporanea – alla disontinuità ha sempre preferito la continuità.

Biagio Biagetti e Celso Costantini

In sintonia con il card. Celso Costantini, promotore nei primi decenni del secolo scorso di un riscatto dell’arte cristiana dalla crisi che stava attraversando, Biagetti condivise l’idea che la pittura sacra dovesse essere “piena del sentimento del presente, avere il senso vivo dell’ora con gli occhi rivolti all’eternità”. Non si allineò quindi ai preraffaelliti, ricalcando il passato o riesumando forme anacronistiche: guardando ai secoli d’oro dell’arte italiana e alle moderne conquiste della pittura internazionale tra Otto e Novecento, il marchigiano elaborò un linguaggio nuovo, affascinato dalle sperimentazioni su luce e colore che in Francia e in Italia andavano conducendo rispettivamente i postimpressionisti e i divisionisti.

Bello, Vero e Buono

Perché il Bello, l’arte, non si discostasse dal Vero, dal Vangelo e dalle Scritture, Biagetti propose l’istituzione di scuole d’arte sacra in cui gli allievi potessero apprendere la tecnica, la storia, le sperimentazioni moderne, ma anche la teologia, le Sacre Scritture, il catechismo. Obbiettivo del pittore era evitare sia di produrre un arte inerte, nostalgica, passatista, sia di dar vita ad una pittura altrettanto incapace di comunicare perché troppo soggettiva, frutto del capriccio o peggio dell’inconscio del pittore. Per questo motivo Biagetti propose di lasciare agli artisti la massima libertà nel “concetto” ovvero la realizzazione pittorica dell’opera e soprattutto nel “nascimento”, l’attimo felice della creazione, ma pose come premessa indispensabile la formazione religiosa. La dottrina doveva essere appresa sotto la guida di sacerdoti incaricati di introdurre gli allievi alla conoscenza del “soggetto”, il tema sacro trattato. Missione del pittore – nella concezione biagettiana – non fu quindi comunicare una personale, soggettiva, interiore visione del mondo, ma il Vangelo, la Buona Notizia rivolta da Gesù a tutta l’umanità, attraverso un’immagine chiara, fedele al Verbo e di facile comprensione. Tali caratteristiche Biagetti le apprese da ragazzo sotto la guida severa e benevola del pittore tedesco Ludovico Seitz.

Ludovico Seitz, Maestro di Biagetti

Quest’ultimo fu esponente illustre della scuola dei nazareni, desiderosi di far rivivere tra XIX e XX secolo su basi religiose e patriottiche l’armonia e la grazia della pittura italiana del Tre Quattrocento. Biagetti dimostrò poi di saper sviluppare in senso moderno il bagaglio culturale appreso dal Maestro sui ponteggi della Santa Casa di Loreto: ne è prova l’evoluzione stilistica dal forte linearismo arcaicizzante degli anni giovanili (vedi “Madonna con bambino” di San Leopardo, 1903), al predominio del colore negli affreschi lauretani della Cappella del Crocifisso.

Uomo del suo tempo

Biagetti fu inoltre, a pieno titolo , uomo del suo tempo e non restò immune dal dilagante stile floreale, il liberty, che conquistò mezza Europa nei primi del Novecento: lo dimostrano le fresche e dinamiche scene sportive del Villino Terni di Porto Recanati così come la “Storia del Pane” dipinta a tempera nel villino Emiliani a Montelupone: un racconto per immagini del lavoro nelle campagne marchigiane, dove la fatica fisica si fa canto di ringraziamento per i frutti della terra e anche un soggetto profano, con scene di vita quotidiana, tra i colori vivaci e il ritmo dei movimenti dei contadini, diviene inno di lode al Creatore.

Le città di Biagio Biagetti

Da Loreto a Bologna, dalla Basilica del Santo a Padova a Udine, da Roma a Treviso fino ad Ain Karim in Terra Santa: ovunque Biagetti ha lasciato traccia di sé, emerge lo studio e il confronto con i grandi che lo hanno preceduto: Gentile, Masaccio, Botticelli,  Antonello, Pietro da Cortona fino a Previati e Segantini. A Treviso nel 1916 realizzò forse la sua opera più matura: gli affreschi del duomo con l’apoteosi di Pio X, il Papa dell’eucarestia.

Biagio Biagetti Monografia Ondarza

Dovendo rendere per immagini il trascendente, il pittore tese la mano ai contemporanei pittori divisionisti e attraverso il protagonismo dato alla luce rappresentò il simbolo, il divino: infinite e leggere pennellate conferiscono all’insieme un carattere morbido,  etereo. La critica si feliciterà della sintesi tradizione- innovazione sperimentata dal pittore che, tuttavia, a seguito delle critiche di chi ritenne irriguardosa la sua nuova maniera di trattare il sacro, si chiuse in un’autocensura, involvendo e indossando per obbedienza nei confronti di alcuni suoi committenti il “cappotto di piombo” che la Chiesa  pose in quegli anni sulle spalle degli artisti, e del quale nel 1964 il beato Paolo VI chiederà scusa.

Il Cristo di Jesi

Riflesso di questo travaglio, della malattia che portò alla morte il pittore e della drammaticità degli anni del secondo conflitto mondiale è lo sguardo pallido, sofferente, ma pieno di speranza, del Cristo risorto, affrescato nella conca absidale del duomo di Jesi, ultima testimonianza di pittura murale eseguita da Biagetti. Religiosità, rettitudine, onestà professionale contraddistinsero la personalità del pittore anche quando ricoprì i prestigiosi incarichi di Direttore dei Musei Vaticani e fondatore del Laboratorio Vaticano del Restauro precorrendo le più moderne tecniche di conservazione. Avvincenti gli scritti in cui racconta le giornate sui ponteggi della Sistina e ripercorre con la penna del romanziere e lo scrupolo dello zelante studioso le giornate di lavoro di Michelangelo o ricostruisce la genesi dei mosaici della Basilica Liberiana di Santa Maria Maggiore a Roma.

Biagio Biagetti: Arte Sacra e Restauro nel primo Novecento

Pittore, restauratore, critico d'arte. Biagio Biagetti è stato un indiscusso protagonista dell'arte cristiana della prima metà del Novecento. Allievo di Ludovico Seitz, ultimo dei Nazareni, ha elaborato nell'ambito della pittura sacra un linguaggio fortemente innovativo, ma fedele alla tradizione. Decisivo il suo contributo all'interno del dibattito sull'arte sacra nel primo Novecento.

Biagio Biagetti Ondarza libro Aracne

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